25 – Juice

Eccoci. Siamo giunti alla conclusione della terza edizione del calendario dell’avvento freelance. Ci credete, a quel che siamo riusciti a fare, insieme? Io no, devo ancora realizzare. Senza tutti voi questo progetto non sarebbe mai stato possibile. Vi dico “grazie” e questa gratitudine mi riempie il cuore ed è il regalo più bello che potessi desiderare.
Il mio consiglio è anche uno spoiler. Ho deciso di farvi leggere il primo capitolo del mio nuovo libro, che sarà pronto nel 2020 ma è in cantiere da circa un anno. Si intitola “Tagliatelle Breakdown”, perché i titoli normali non mi sono mai piaciuti.
Esattamente 1 anno fa, quando ho messo piede a casa Lilliput per la prima volta, mi sono fatta prendere dal panico. Ho pensato “chiudo tutto”, “è troppo difficile”, “sono stanca, non ce la faccio più“. Poi però è successa una cosa. Ho avuto un piccolo grande momento di rivelazione. Il momento in cui, dopo 7 anni da freelance, ho capito che cosa volevo fare, per davvero. Il mio grande perché. L’ho scoperto grazie ad una maestra che ora non c’è più, ma è sempre qui a ricordarmi che la vita può essere uno spettacolo, anche (e forse soprattutto) quando il gioco si fa duro.
Trovate quel perché. Rispondete alla domanda. Nei momenti di buio, recitate quella risposta come fosse una preghiera o una poesia. E poi, siate protagonisti di questo meraviglioso spettacolo che è la vita. Sì, anche quando dovete pagare gli F24. Inchino, sipario. Atto successivo.
Spoiler: Il capitolo è lungo, e dico le parolacce.
Buon Natale, G.

Me ne sto accoccolata sul mio micro divano, sto guardando un’intervista di Marie Forleo a David Bach. Mangio delle tagliatelle ai funghi surgelate e mentre guardo il video mentalmente prendo appunti su come imparare a gestire le mie finanze in maniera più consapevole.

L’intervista si conclude con David Bach, commosso, che condivide una lezione importante imparata dalla nonna. Mi sento vuota. Non so se sono ancora in grado di emozionarmi, davvero, per qualcosa. Non faccio altro che prendere appunti, assimilare nozioni, cercare modi per diventare più ricca e sentirmi meno triste.

Spengo il televisore e fisso lo schermo spento per qualche minuto.

L’unico rumore che sento è quello del piccolo umidificatore vicino alla finestra, che cambia colore e probabilmente, da fuori, fa sembrare casa Lilliput una discoteca di Milano Marittima.

Queste tagliatelle fanno schifo e solo ora, in questo preciso istante, mi rendo conto di trovarmi nel bel mezzo di quel che alcuni chiamano un ‘breakdown’. Esaurimento nervoso.

Non credo si tratti propriamente di un problema di nervi, ma qualcosa, dentro di me, sembra esaurito. L’energia. La creatività, forse. La magia? Non so esattamente cosa sia ma mi manca qualcosa. Se non decido ora, in questo momento, di cambiare la mia vita, ne subirò le conseguenze e poi sarà troppo tardi.

Chiudo gli occhi e decido di rovistare tra i miei ricordi. So bene cosa sto cercando e soffro di un leggero disturbo ossessivo-compulsivo da riordino, quindi so anche dove cercarlo. L’ho piegato con cura nel cassetto dei ricordi belli, come Marie Kondo fa con quei dannati calzini.

Non è una frase di mia nonna, non ho mai avuto un bel rapporto con miei 6 nonni (sì, 6, ma questa è un’altra storia). Però anche io sto cercando la frase che, quasi 11 anni fa, ha cambiato per sempre la mia vita.

Ed eccola lì. Mi teletrasporto in classe, al liceo. Stanno uscendo tutti dall’aula e restiamo solo lei ed io.

“Giulia” mi fa cenno di avvicinarmi alla cattedra.

“Oddio, cosa ho fatto” penso subito.

“Ho una cosa per te”. Tira fuori dalla sua borsa un libro, “Tobia e l’Angelo”, di Susanna Tamaro.

“Leggilo, è tuo”.

Lo guardo, è un libro piccolo. Non l’ho mai letto.

Un improvviso moto di riconoscenza mi riempie il petto. Respiro e riesco solo a dire “grazie”.

Gli ultimi anni sono stati un inferno. Il divorzio dei miei genitori, la nostra casa in vendita, i mesi passati in un residence senza i libri di scuola. 

Quello, era il primo regalo che ricevevo da tanto tempo. Lei, era la mia professoressa di inglese.

Una persona straordinaria. Con un cognome che senza vederla l’avresti immaginata piccola piccola e silenziosa. Invece era grande, aveva questo spazio immenso nel cuore e la capacità di incantare con le parole.

Era severa. Ad alcune faceva paura. Esigente, solenne nelle sue decisioni. Metodica, puntuale, organizzata.

Eppure, io non avevo paura di lei. Desideravo invece stupirla, conquistarla. Sentirmi ascoltata. Diventare come lei. Aiutare le persone. Lasciare una traccia.

Lei è stata la prima persona a credere in me, quando nessuno ci credeva, nemmeno io.

Aveva lavorato con me all’editing del mio primo romanzo e la sera della presentazione, anche con la febbre alta e la voce bassa, si era seduta accanto a me per raccontarlo a tutti. Conservo la fotografia del nostro abbraccio di quella sera come si conserva la Polaroid con i Backstreet Boys, al tuo primo concerto da teenager. Lei, però, era una vera rockstar.

Pensavo sarebbe stata sempre lì, e invece ora non c’è più. L’unica cosa che resta è quel libretto. Non sono mai riuscita a leggerlo tutto. L’unica cosa che ho letto e riletto fino a consumare la pagina, è la dedica che ha scritto a mano, all’inizio.

Per me, il vero regalo, era quel pensiero, scritto con la sua grafia inconfondibile.

Per Giulia

“You are quite right. Life to me is just a spectacle”.

Era di Forster, ma era anche sua. Mia.

Apro gli occhi e torno al qui ed ora. Casa Lilliput.

Quella frase l’ho fotocopiata ed incorniciata. L’ho appesa all’ingresso, sul mio altarino pieno di portafortuna e talismani. Posizionata accanto ad una foto di quando ero piccola e sorridevo felice, non so per che cosa.

Quando la vita mi sembrava semplicemente un meraviglioso, incredibile, magico spettacolo.

Le tagliatelle schifose sono diventate fredde. Mi alzo dal divano e le butto via. Ed io…so finalmente cosa voglio fare con la mia vita.

Una lacrima dispettosa rotola giù per la guancia destra e segna un impercettibile solco trascinandosi via lo strato di trucco che ho messo stamattina.

Apro il computer e ricomincio da qui, da quel che amo fare di più.

Comincio a scrivere la mia storia perché sono convinta che ripercorrere tutti gli eventi che ho vissuto fino ad ora, possa aiutarmi a sorridere di nuovo, come in quella foto, davanti allo spettacolo che è la mia vita.

Se ci è riuscita Elizabeth Gilbert con “Mangia, prega, ama”, posso farlo pure io, no?

E posso farlo da qui. Senza partire per grandi viaggi alla ricerca di me stessa, anche perché tra qualche giorno devo pagare quel cazzo di F24, non è il caso di strafare.

Posso farlo dalla mia casetta di 24mq, al sesto piano di un palazzo che somiglia ad un alveare. Ho la mia risposta, ora. E non mi fermo più.